Libro III – Cap. III
Non sarà un’ avventura…
Siamo nel decennio delle 29″, l’evoluzione inarrestabile alimentata da idee create dalle esigenze più disparate aprivano nuovi filoni di esplorazione per Pro-M. Quando importò la prima fat bike, la Pugsley, Gianni aveva visto nei due marchi gemelli Salsa Cycles e Surley due produttori che avevano le caratteristiche che da sempre contraddistinguevano le scelte di Pro-M: prodotti fuori dal coro, con una loro specifica visione. Salsa Cycles fu fondata da Ross Shafer un irriverente, pragmatico e brillante costruttore “Flower Power” di telai negli Stati Uniti: già nel 1976 aveva saldato il suo primo telaio da strada, ma per vivere gli toccava giostrare tra lavori di carpenteria metallica e impieghi stagionali in negozi di biciclette in California mantenendo uno stile di vita randagio che anni dopo avrebbe trasferito nelle sue biciclette, fino a quando poté dedicarsi a tempo pieno alla costruzione di telai grazie all’assunzione in Santana Cycles come capo officina. Nel 1981 costruì la sua prima MTB con ruote da 650 B quelle che ora si conoscono come 27,5″, ma essendo quello che definiremmo uno spirito libero, dopo un anno lasciò Santana perché si sentiva come un nativo Americano in prigione, stava perdendo la sua anima. L’occasione della sua rinascita gli fu data dalla costruzione di sei biciclette su specifiche di altrettanti Clienti, con angolo sella specifico per ognuno di loro e sterzo da 71° che ancor oggi viene utilizzato da Salsa. L’esperienza che si era fatto usando bici da strada su polverosi percorsi all mountain lo convinse che la geometria ideale per una bici da montagna risiedesse da qualche parte tra quel continuo fatto da moderne bici da corsa ed angoli allungati che predominano i telai delle nostre amate bimbe.
Nel 1982 nacque Salsa Cycles: inizialmente si occupava di produrre attacchi manubrio su specifiche dei Clienti, alternando produzioni di telai custom senza pensare ad una distribuzione massiva pur quanto molto apprezzati. Rimaneva in ogni caso un sognatore che non aveva le capacità di affrontare tutte le dinamiche dell’industria quindi nel 1997 togliendosi dalle spalle il peso delle troppe competenze, vendette il marchio a QBP spostando il quartier generale a Bloomington, Minnesota (Quality Bicycle Products, probabilmente il più grande distributore sul suolo statunitense di componenti che gli avrebbe, un anno dopo merito del suo ingresso del mercato single speed, affiancato Surley) fatto che gli permise di focalizzarsi sulla sua creatività. Il tentativo di Gianni di iniziare l’importazione dei due marchi si scontrò contro il non interesse dimostrato da QBP azienda che nel 2008 fatturava circa 150 milioni di dollari sul mercato interno, probabilmente orientato ad una distribuzione non focalizzata come quella di Pro-M ma con una distribuzione su larga scala, che in un paese come il nostro è l’ossimoro perfetto.
“Gianni ti ho mandato una foto via mail, aprila per favore.” La sera prima stavo navigando nel mare tempestoso di internet, senza alcuna rotta e nessuna destinazione, quando approdai, come Odisseo all’isola di Ogigia, al sito di Salsa Bicycles, noto produttore di telai 29″ (“26″ are dead” così cantava Gianni, il nostro Omero nell’epica dell’evoluzione tecnica). Così l’occhio mi precipita curioso su un telaio che sembra disegnato da Elio dio del sole: un connubio di sano acciaio come le biciclette degli esordi (mi sovviene una Breeze Lighting tutta rigida verniciata come una muscle car degli anni sessanta con la quale ebbi i primi approcci da Biker), condita con particolari moderni quali freni a disco e cambio da corsa con doppia anteriore, un finto retrò che rassicura, alla faccia dei telai in carbonio che stanno cercando di propinarci. Poi una profusione di attacchi per le borracce e due portapacchi anteriori e posteriori che sarebbero la gioia di qualunque fornaio, due belle ruote da ventinove con tanto di gomma cattiva e li rimango prigioniero della ninfa…
Il suo nome è FarGo. Sicuramente non la posso definire bella come Afrodite, mi pare piuttosto la sorella di Efesto: Omero racconta di come Efesto fosse brutto ma con una grande forza nei muscoli delle braccia e delle spalle, per cui tutto ciò che faceva era di un’impareggiabile perfezione, proprio come scoprii in seguito cavalcando la mia FarGo visto il grado di parentela. Lo so resisto a tutto, ma come Zeus non alle tentazioni: così venni obnubilato dal suo fascino e non resistetti nemmeno tre minuti, per questo chiamai il mio Mentore. “Vuoi che io non la conosca? Tu mi sottovaluti… l’ho già ben vista e sappilo, ma mi sembra che tu possa immaginarlo, che ne ho ordinata una per me.” “Hai fatto come per la Pugsley, sempre attraverso Gianpaolo ? Allora non vedo la possibilità di averne una anche per me…”
“Basta fare un bonifico a Mauro B. , se vuoi ne ordino un’altra per te domattina non ti disperare… Adesso è lui l’importatore in Italia.” Il tono scanzonatorio di Gianni nel ruolo di Eolo mi aveva fatto sentire pronto a riprendere come Odisseo la navigazione rapito dal canto delle sirene. Mauro B. , uno dei pionieri della distribuzione dei marchi Americani in Italia padre spirituale di Raceware, aveva preso ad importare i due marchi grazie ai trascorsi che lo legavano a un commerciale di QBP al tempo: il mercato Italiano valeva per il loro percepito come quello dell’Oregon ma gli fu data una possibilità.
Appena vestita, aveva il fascino da sirena, non cercai di buttarmi sulle rocce e non sono finito nei gorghi di Cariddi, ma andammo sui pendii che sovrastano San Bartolomeo al Mare, teatro di un’epica, in quanto tra le prime organizzate da Enrico G. , SuperEnduro. Mi presentai al campo di battaglia di buon mattino, Gianni voleva testimoniare da buon Aedo l’agone. Salii lesto lungo le rampe che come cicatrici di mille battaglie disegnavano il fianco del monte e mi preparai alla discesa. La FarGo è una finta rigida, il suo telaio in sano acciaio sa adattarsi con dolcezza alle asperità del percorso, le sue ruote da 29″ annullano le buche, o per lo meno ne attenuano la gravità. Profilo dei pneumatici adorabilmente semislick, perché con le 29″ le gomme sono un dettaglio, il manubrio una curva stradale che si apre come le ali di un’aquila (John Tomac ne sarebbe orgoglioso), dischi rigorosamente meccanici e sella senza alcun ammennicolo riduttivo della corsa. Ma il suo pregio nascosto dalla sua forma allungata verso il basso è la geometria che fa invidia ad Euclide, Ross Shafer avevi ragione. Scendo deciso come quando Odisseo tese l’arco per far passare il dardo tra le fessure delle dodici scuri; peccato che non considerai la pressione dei pneumatici, spesso scendo livelli molto bassi e forai, quindi buttai un sacco di tempo visto che avevo solo le toppe, lascio a voi il dirambo poco elegiaco di Gianni “sei il solito animale”. Persi la sfida temporale, ma capii che la FarGo avrebbe aperto un nuovo (seppur antico per uso) filone fuoristradistico: la bici da avventura, semplice ed essenziale, l’esametro epico della pedalata. Null’altro.
FarGo è comoda, silente si carica delle sofferenze del biker: gli appoggi sono tagliati su misura, ti senti tutt’uno con l’ampio manubrio e la strada sterrata, bocciardata o malamente asfaltata scorre come lo Stige… Impetuosa e rapida. Il suo nome lo si può leggere come FarGo (lontano andare) oppure come più correttamente il nome di un film dei fratelli Cohen sottolineato dal riferimento al manubrio il mio amatissimo “Woodchipper” che per chi non fosse avvezzo ai lavori forestali è un macchinario che riduce in frammenti la ramaglia quando si disbosca: nel film è protagonista della scena più macabra dove uno dei due rapitori dopo una discussione senza senso viene ucciso e smaltito con la cippatrice (in Italiano). Tutti i prodotti di Salsa e Surley sono riferiti a citazioni di film, FarGo non poteva essere da meno: penso sempre a quante sostanze psicotrope ora legali in molti stati dell’Unione sono state consumate durante il progetto e la costruzione dei telai con sottofondo musicale “Hit from the Bong” dei Cypress Hill in loop 24 ore su 24. Ogni uscita con FarGo era come la lettura di una sceneggiatura, ti sorprendeva ogni volta per i colpi di scena che ti offriva.
Orbene, iniziai la mia Odissea sui pedali: non esisteva in quel momento il bikepacking sarebbe arrivato in seguito avevamo le borse laterali oppure il carrellini B.O.B. che ti permetteva di portarti carichi sostenuti, partii con un amico come Eumeo assai fidato che poi si sarebbe buttato nella produzione di borse specifiche qualche anno dopo ed attraversata la valle dell’Eridanio ci portammo lido dopo lido su un isola al largo di Hvar. Lì trovammo ospitalità come Odisseo da Alcinoo re dei Feaci, stanchi e distrutti dal caldo torrido che ci accompagnò senza mai lasciarci. Percorremmo più di mille chilometri con qualche migliaio di metri di dislivello, 24 kg di bagaglio stivato sul B.O.B. , in sei giorni: più la pedalavo e più aumentava il desiderio di farlo! Il mattino dopo aver dormito in tenda, riprendevo a pedalare fino a sera, senza alcun indolenzimento, cullato dalla posizione in sella. Seconda dimostrazione di impareggiabile perfezione. Sempre più convinto dell’ecletticità prepotente del mezzo, continuo a pedalarla su tutti i terreni ed apprezzarla in ogni suo dettaglio: il fatto che sia essenziale, ma non banale si badi bene, esclude tutto ciò che si potrebbe rompere, complicazioni con sospensioni e revisioni delle stesse, una stabilità straordinaria, una più che discreta maneggevolezza e un’incomparabile perfezione in ogni gesto di guida; fedele come Argo, ti asseconda in ogni tua richiesta.
Proposi a Gianni di riprendere il viaggio. Rimontate le borse ci mettemmo sul fianco di Eridanio seguendo la corrente del fiume fino alla sua foce, incontrando i capricci degli Dei del ciclismo che per nulla mossi a compassione, non ci diedero protezione né dalla pioggia battente né dal vento contrario: non a caso si tratta dell’Odissea.
FarGo è la BICICLETTA, nella culla della MTB è considerata di fatto una delle miglior biciclette di sempre la compagna ideale per il biker: vai in vacanza viaggiando, ti avventuri sui sentieri di montagna, macini chilometri sulle strade asfaltate, se te la senti partecipi a manifestazioni sportive o fai una passeggiata lungo l’argine del fiume con la famiglia.
Non sarà il cocchio solare di Elio, ma sicuramente rientra nel mito: un mezzo concepito per gli Dei, donato ai mortali pedalatori per alleviare le fatiche, qualunque strada si voglia intraprendere. FarGo nell’ambito del mito moderno è la Range Rover delle biciclette un mezzo senza tempo, che non vi stancherà mai ed ogni volta vi sorprenderà come un romanzo epico.
Non ho mai smesso di amarla e utilizzarla in tutte le sue sfaccettature che hanno dato vita a decine di cloni che non l’hanno mai eguagliata; ha fatto crescere il gravel, l’adventure ed il bikepacking e con essi raduni non competitivi su grandi distanze senza alcun supporto se non una traccia GPS che sono diventati appuntamenti imprescindibili.
Quel giorno che Gianni la vide ultimata con tutti i suoi accessori per la prima volta, capì immediatamente che sarebbe stata la degna protagonista di una storia infinita anche se tutto ciò, secondo Gianni, è riferibile solo alla Fargo Gen1 e al massimo alla Gen2 ma non ai modelli, più commerciali, che QBP ha poi dovuto produrre negli anni immolando il prodotto sull’ altare della commerciabilità ad ogni costo …