Libro III – Cap.V
I tre fiumi
Ovvero la genesi dell’Enduro e l’arte della scelta del reggisella.
17 Giugno 2007
Sul forum di Pro-M il Presidente pubblicò un post che annunciava in pompa magna la proposta partecipazione del Racing Team ad una gara, un nuovo format: l’Enduro ! La gara si chiamava “Enduro dei tre Fiumi” e si sarebbe corsa a Cartosio Domenica 17 Giugno. Le risposte non si fecero attendere, le punte di diamante, Paola V. aka Speedy Faustilla e Norberto B. aka Turbo dopo nemmeno 12 secondi dalla pubblicazione avevano dato il loro assenso ed a ruota come nella volata sul lungomare a Sanremo, scattarono gli okay del Minimo Impatto capitanati dal pragmatico Vitto, non si sarebbero mai alienati dal essere presenti e vuoi che l’ilare Diego B. aka Lo Zio non fosse presente per supportare la Speedy che era in quegli anni sua compagna di vita in primis e filmare le (dis)avventure del Team? Nessuno di noi avrebbe mai voluto perdere il primo ciak.
Non eravamo proprio dei parvenu, vero che ci eravamo arricchiti di nozioni superflue nel campo delle competizioni fuoristrada non dall’origine, ma avevamo sempre mantenuto la voglia di scoprire cosa facessero quelli che non avevano una visione settaria del divertimento: i non proprio adoratissimi cugini d’oltralpe, avranno anche tutti i luoghi comuni del mondo sulle spalle ma dobbiamo riconoscere con affettuosa invidia quanto fossero stati innovativi nel giocare con le VTT (VTT è l’acronimo do Velò Tout Terrain ovvero bicicletta per tutti i terreni in Francese che dà la corretta immagine dell’uso totale del mezzo). Da anni avevano organizzato eventi che uscivano dai format cross country e DH ormai diventati stantii vassalli dell’UCI incartati dentro rigidi protocolli perché il loro assioma è la versatilità: il Biker deve avere tutte le caratteristiche per affrontare ogni situazione in salita ed in discesa, dove il divertimento conseguenza della poliedricità era l’obbiettivo. Manifestazioni come la Transvesubienne e la VVT freeride Classic – come abbiamo già avuto modo di ricordare – sono le capostipiti delle attuali competizioni di Enduro.
Per noi che venivamo dalle moto da regolarità il format non era poi così lontano da quello che avevamo vissuto nella nostra adolescenza, l’Ancillotti 50cc con motore Sachs che guidavamo su e giù dal San Genesio era l’antenata con i debiti distinguo della Titus El Guapo che in quel momento Gianni stava pedalando, ci perdevamo felicemente fino a rimanere senza un goccio di miscela cercando di superare una riva scoscesa, dopo esserci infoibati in un ginepraio: posso dire senza smentita alcuna di essere stato uno specialista in questo anche negli anni a venire in sella alla VTT (vive la France!). La visione fortemente lisergica di come dovesse essere la bicicletta che Gianni portava avanti da anni, si accoppiava perfettamente come un foglio di carta carbone a questa manifestazione: 22 km con circa mille metri di dislivello positivo con quattro prove speciali cronometrate in discesa, avremmo copiato pari pari il percorso con sorpresa finale compresa.
“Gianni scusa, Cartosio ma dove accidenti sta’ Cartosio?” questa era la domanda che seguiva le adesioni entusiastiche della prima ora nei post che si susseguivano sulla discussione nel Forum di Pro-M. “Nessuno si preoccupi,ci arriveremo in un modo o nell’altro, è dalle parti di Acqui Terme nell’Alessandrino. Lì si svolgerà la prima gara, in via sperimentale, di Enduro in Italia. Visto che siamo stati presenti a quasi tutti gli eventi epocali già nel secolo scorso, la missione è quella di esserci… Non ci perderemo.” Il messaggio con il quale Gianni chiudeva la discussione esprimeva la forte curiosità di vedere come sarebbe andata a finire, perché per noi sarebbe stato un successo in ogni caso, mi pregustavo un possibile video dello Zio e avevo già le lacrime agli occhi con mascella slogata inclusa.
Come da regolamento Gianni aveva qualcosa da provare quella domenica, il primo reggisella idraulico quello che dava un ritorno alla posizione di pedalata come quello che si provava appoggiando i glutei su una poltrona Frau, avrebbe cancellato l’effetto espulsione da F15 che quelli meccanici da noi adottati da pochissimo inseguendo le mirabilia tecnologiche del Vate Gianni. Consegnato qualche giorno prima in Pro-M lo aveva fatto montare dal Chirurgo sulla sua bici del momento, una Titus El Guapo nero pece che la faceva tanto mantello di Zorro. L’alto Monferrato e la valle Bormida non me la ricordavo per le sue cime ardite ma per la Statale 334 del Sassello 52 km che collegano Acqui Terme ad Albissola Superiore, teatro di epiche sfide motociclistiche in stile Joe Bar nei fine settimana e soprattutto per gli amaretti del Sassello oltre che per le temperature tipiche del Kalahari. Anche quella domenica il caldo non si fece mancare, esaltato dai calanchi grigio ardesia messi come fossero specchi ustori che di fronte a noi al di là del torrente Erro dominano la valle. Ci eravamo presentati, a parte i nostri supereroi ovviamente che avevano già il sacro fuoco dell’agone nei quadricipiti, come se fossimo li per una gita domenicale con zaino idrico sulle spalle con tutto quello che poteva servire per sopravvivere in una attraversata desertica: rigorosamente senza protezioni o caschi integrali a quel tempo l’enduro non è quello che conoscete ora si aveva un concetto diverso prossimo a percorsi che oggi vengono definiti “Trail”.
L’atmosfera era quella piacevolissima delle sagre paesane di Maggio, non era sicuramente una manifestazione con espositori e team ufficiali si respirava quell’aria di complicità di ricevere un pacco gara con i prodotti tipici ed alla fine della gara mangiare un piatto di pasta salutandosi al fine con pacche sulla spalla. Le partenze erano già quelle che poi avrebbero contraddistinto l’apparato delle regole delle gare che da quel giorno in poi si sarebbero succedute negli anni a venire in Italia: tre concorrenti ogni 120 secondi partivano in direzione della prima prova speciale avendo un tempo limite predeterminato per raggiungere il cancelletto di partenza. Eravamo all’ incirca una sessantina di Bikers sotto lo sguardo cupo della torre medioevale che sembrava fin infastidita da tutta quella marmaglia, sono quasi certo che non avesse visto un assembramento così bellicoso da quando negli anni venti del novecento furono smantellati gli avanzi del castello medioevale che la infastidivano.
Il tracciato inizialmente, attraversata la valle, si snodava sul fianco dei calanchi, su tratturi all’inizio anche piacevoli per poi trasformarsi quasi fossero Mr. Hyde per il Dott. Jekyll in rampe con pendenze da far chiedere asilo politico ad un camoscio. Essendo separati non potevamo affiancarci ai nostri confratelli così arrancando sul crinale in direzione della prima speciale cambiando con la leggiadria di un Mammut in una cristalleria , il problema sono solo le zanne che toccano ovunque non tanto la stazza, stortai la gabbia del cambio. Perciò a parte le gentilissime orazioni che elevai al cielo, sperai di essere in grado di rimetterla in funzione, con il Leatherman che mi portavo nello zaino nel ruolo di amuleto, non tanto come strumento: fui raggiunto da Vitto che mi confortò dicendo che anche il Gianni aveva problemi pare non gravi con il reggisella idraulico che ci aveva decantato per tutto il viaggio. Mal comune mezzo gaudio? Anche no… In qualche modo riuscii grazie all’aiuto del buon Vitto a far funzionare malamente il cambio che saltava sotto cambiata di tre in tre per poi far cadere la catena dietro l’ultimo rapporto bloccandosi così dietro la cassetta. Decisi che forse era il caso di adottare solo un rapporto intermedio tenendo la corona di mezzo, ai tempi si avevano tre corone altro che mono, spingendo la maggior parte del tempo in salita, ad ognuno la propria Caporetto.
Gianni nel frattempo aveva perso anche la sella, il reggisella sembrava allergico all’uso quindi dopo aver messo mano per almeno un’ora decise di ritirarsi e ritornare alla partenza, visto che ormai era fuori tempo massimo, talmente incazzato che lo avrebbe trasformato in una statua di sale come la moglie di Lot. Io, per onor di firma il percorso lo conclusi come tutti gli altri componenti del Team: le speciali non erano mal disegnate sull’arenaria grigia dei calanchi, faceva decisamente caldo ed un bagno ci sarebbe stato bene in piscina appena finita l’ultima speciale invece l’organizzazione ci aveva anticipato: alla fine della quarta speciale per rientrare in Cartosio pedalando sulla statale bisognava attraversare il Torrente Erro un nome una garanzia, soprattutto perché un guado vero non c’era e non avendo Gianni come Mosè a dividere le acque ma piazzato sulla riva a fare le foto, mi trovai come tutti a camminare nel torrente cercando di non scivolare con l’acqua non particolarmente cristallina fino all’ombelico.
“Gianni avresti potuto fare una richiesta su ai piani alti per permetterti la divisione delle acque in stile Pasqua Ebraica, va bene scontare i peccati ma così mi sembra un po’ troppo…”
Rideva fin al punto di avere le lacrime agli occhi mentre cercavo di asciugare il cellulare, anche i pesci del fiume stavano ribaltati con la pancia all’aria vedendo la scena.
“Pensa che se avessi avuto il reggisella in ordine questo guado ti toccava, hai più c@lo che anima, andiamo a cambiarci almeno un piatto di pasta vorrei mangiarlo.”
il reggisella fu smontato il giorno dopo e di lui si persero le tracce… Ma quelle dell’Enduro si seguono ancora oggi.