Libro II – Cap. VIII
Don’t stop me now, I have a good time
“John, voglio una Evolve! Ma non come quella che hai provato con l’anodizzazione modello jeans buttati in candeggina, la voglio in stile Lockheed SR-71 tutta nera.” Gianni scosse il capo quando sentì la mia richiesta, aveva da poco testato la prima 29″ di Ellsworth e se ne era innamorato perdutamente come un diciottenne della più bella al ballo di fine anno del liceo. I dubbi sulla reale efficacia li aveva fugati immediatamente, per cui i primi arrivi sarebbero sbarcati da lì a pochissimo, io la volevo assolutamente: non era la prima Ellsworth che possedevo posso dire senza vergogna di essere stato un “Tonyprodottodipendente” quasi da collezionista seriale in quel periodo, conoscendo la bontà dell’ICT e della cura costruttiva non avevo dubbio che il momento del cambiamento era giunto, poi che mi sarei trovato a mio agio solo il tempo me lo avrebbe confermato.
Non ho mai provato una bicicletta prima del suo acquisto, ho sempre avuto un approccio irrazionale legato essenzialmente al suo insieme di tecnica, design e folgorazione alla sua vista. Zapata Espinoza redattore di spessore di MBA e membro di Mountain Bike hall of Fame già nel 1995 mi aveva illuminato anni prima con una metafora dedicata alla bicicletta ideale “la tua bicicletta è quella che ti fa sangue quando la vedi passare, che ti fa sentire come nella canzone di Johnny Cash, “The Ring of Fire” (love is a burning thing and it makes a fiery ring bound by wild desire I fell into a ring of fire) e cadi in un anello di fuoco che ti brucia”. Poi conoscendola ne apprezzi quello che non avevi percepito al primo incontro facendo sì che abbia l’intensità di tutte le storie d’amore che durano lo spazio di una vacanza estiva, quelle che non ti scordi anche se poi non la rivedrai più.
“Freak cosa vogliamo fare? Ti debbo ordinare una large nera quindi. stanno per arrivare i primi telai, vedo di dire a Tony di mettere anche la tua. ”Gianni aveva delle idee che da un po’ gli frullavano nella testa ed io ero in sintonia con il suo pensiero non volevamo una bici da cross country, volevamo andare oltre e esplorare le potenzialità delle 29″ creare qualcosa che si adattasse alla nostra visione della MTB che banalmente posso riassumere in “andà a spass in muntagna”, ma che all’interno di questa frase ci sta tutto; l’uomo è nomade e in montagna ci va per scoprire i suoi confini ed ogni volta portandoli sempre più in avanti lancia uno sguardo sull’ignoto dell’ animo (citando un caro amico che non c’è più: Icaro De Monte). Cancellai i giorni sul calendario in attesa dell’arrivo del telaio come fosse quello dell’avvento, nel frattempo fantasticavo su come avremmo definito il montaggio della mia stealth bike. Quel giorno nella grotta avevo ben visto negli occhi di Gianni accendersi una serie di lampade tipo semafori di un gran premio, il verde era abbacinante.
Non stavo nella pelle quando arrivai in Lucilio Gaio, Gianni mi fece accomodare nel tempio dove il telaio della mia evolve stava sul tavolo come fosse un offerta al Dio Vulcano.
“Iniziamo con la forcella, utilizzeremo una Maverick DUC 32 da 150mm che ridurremo a 125 in modo che la ruota non tocchi il tubo inclinato del telaio. la forcella l’ha disegnata Paul Turner il fondatore di Rock Shox dopo che ha lasciato la compagnia: è leggera pesa 1530 grammi, robusta visto che gli steli sono saldati ed ha un perno passante da 24 mm, il che ci costringe ad utilizzare un mozzo dedicato e speriamo di trovare i raggi vista la tua passione di distruggere cerchi. Attacco manubrio da 70 mm bello corto con un manubrio largo, il più largo da 650 mm cosi che sia più reattiva e che avendo una leva maggiore scenda in curva lesta come un GS… Del resto apriremmo lo sterzo di qualche grado non credo sia un male, anzi. Freni da 200 mm davanti e 180 mm dietro così non avrai problemi con il tuo fisico, se li montassimo di dimensioni inferiori li bruceresti subito. Gomma Kenda Nevegal davanti e una più scorrevole dietro, vedremo cosa montare in questo momento non è la priorità.” Estasiato, credo che sia la parola adeguata per descrivere come mi sentissi appena salutato Gianni che mi mise alla porta rapidamente sapendo bene che lo avrei stordito di parole se fossi rimasto solo sessanta secondi in più. Il fine settimana sarebbe stato ottimo per la prova: il sentiero di Squettar mi avrebbe dato il responso.
Potrei dilungarmi in descrizioni di passaggi al limite su massi che prima erano quasi invalicabili temendo che con sarei stato in grado di chiudere le strette curve appena scavalcati, che avrei fatto fatica a rilanciare sui tratti di mangia e bevi che avrei affrontato nel bosco che mi avrebbe portato a Cravegna. Non mi accorsi di nulla, scavalcai tutto in salita e scesi ovunque anche dove il passaggio mortale al bivio con Esigo prevedeva un nose press… Io decisi di tagliare il tornante buttandomi nel vuoto, capii che la ruotona faceva la differenza… Eccome se la faceva nonostante avessi solo 100 mm dietro e gomme da 2.1, ma non importava mi sembrava di sentire “I gotta feeling” di Black Eyed Peas all’infinito mentre guidavo sopra tutto, non potevo fare altro che sorridere e dare il cinque ogni volta che incrociavo Gianni. Avevamo fatto scendere in campo un’idea, un concetto che avrebbe dato una svolta alle nostre uscite, chiaramente a parte il fatto che io ne fossi entusiasta questo non era l’arrivo, solo un passo in avanti.
La mancanza di alternative da 29″ ad un prezzo abbordabile era allora assente sul mercato della MTB italiano di quegli anni. “Gianni, ma visto che credi fermamente nella diffusione delle 29″ non ti potrebbe interessare un telaio coda rigida in alluminio, fatto in Taiwan da un buon produttore? Potresti montarli come piace a te, hai un negozio quindi un marchio lo hai: potresti utilizzarlo”. Roberto Z. un fornitore di Pro-M per quanto riguardava componenti e cerchi era passato da lui per una consegna. L’idea apparve buona, ma legare il marchio ad un progetto di questo genere non lo faceva impazzire, anzi lo faceva un poco banale a dirla tutta. Tutti i ciclisti da anni marchiavano con il loro nome telai acquistati per poi rivenderli nelle loro botteghe: ci voleva qualcosa che risvegliasse l’interesse dei Biker del resto aveva sempre proposto idee molto intriganti. In quel periodo Alberto V. aka “Skywalker” grazie ad una geniale parodia partorita dalla mente di Red Moho che mi aveva definito “Obi-Wan Kenobi” il suo Jedi allenatore, collaborava con un progetto creativo aperto “Il Deboscio” dove si dipingeva l’affresco della gioventù Milanese tardo adolescenziale, composta da ragazzi che avevano perso la propria originalità di individuo in cerca del costante di uno status da ostentare quello che il gruppo impone. Le T-shirt da lui sviluppate con il pensiero critico divennero dei must, quindi cosa di meglio avere per identificare un prodotto che voleva uscire dal mondo 26″?
Gianni diede il suo benestare al progetto, il giocare con i claim facevano parte dello sviluppo di Pro-M e Skywalker si mise al comando del suo X-wing Starfighter che pur senza R2-D2 portò a buon fine la missione: il telaio venne verniciato in un nero fine dell’universo dove il logo del Deboscio spiccava luminoso come l’esplosione dell’Executor astronave di Dart Fener. Il montaggio era unico senza varianti con una Rockshox reba da 100mm, componentistica Truvative con guarnitura Stylo 3×9, cambio SRAM X9, cerchi Ringlè con mozzi N4A, freni Hayes Stroker da 180mm: per concludere il nome in bella vista come su ogni mezzo da combattimento che si rispetti “Black Lodge” su tubo orizzontale vicino allo sterzo. Fu un altro passo fatto per passione e provocazione, cosa che non mancava. Ricordo con piacere l’unica versione rosa maiale che fu allestita per il nostro amico Chicco, anima della 24 ore di Cremona, città famosa oltre che per le 3 T (Turùn, Turàss, Tetàss) per il salame, quindi fu una giusta e doverosa dedica a chi si sacrifica per il nostro piacere. Ovvio che le riviste ne parlarono ampiamente…
All’interno del Team le anime non erano sicuramente omogenee quantunque la fede ci accomunasse in una stretta fratellanza: una di queste era rappresentata da Mirko P. che nascondeva sotto il suo aspetto di riflessivo ingegnere un animo da giocoliere della MTB, cosa che gli era lasciata in eredità dagli anni giovanili trascorsi sulla BMX; inevitabilmente era costantemente in aria non nel senso figurato però… Ritengo che la sua guida sia una delle più delicate e tecniche che ho visto passare in 23 anni di Pro-M, ti faceva sembrare tutto facile con una gestione che se fosse stato un chitarrista avrebbe fatto invidia anche a JJ Cale mentre suona con Eric Clapton “After Midnight”. Anche lui come la maggior parte di noi era stato folgorato dalle ruotone, ma le realizzazioni che avevamo a disposizione non erano esattamente quello che desiderava, non erano votate per la sua idee di bicicletta. Dopo aver analizzato il problema da buon ingegnere tra una simulazione ed uno schizzo a matita sulla tovaglietta della pizzeria (il disegnare mentre si mangia un boccone è un aspetto che nutre la creatività) fatto dove stava pranzando con Gianni che voleva coinvolgere nel costruire un altro gradino: una 29′ da vertical riding idea che era talmente lontana dalla mente dei progettisti di quegli anni che la faceva passare la generazione dei numeri primi come un problema irrisorio.
Ma se non ci provi non puoi sapere se funziona, a parole son tutti bravi, lo sapete: dopo l’entusiastica risposta del Presy, che vedeva questo piano di lavoro come lui vede un chilogrammo gelato di creme ovvero irresistibile, Mirko si mise a progettare il telaio che in un tempo rapido prese la forma definitiva. Ovvio che alcune soluzioni erano decisamente ardite per il periodo, il fatto di aver dato uno sloop accentuato per poter accogliere forcelle White Bros. da 135 mm che in quel momento erano le uniche che offrivano escursioni generose per le 29″ un carro decisamente compatto con un passaggio ruota che lo rendeva assai aggressivo in termine di quote geometriche, lo potrei definire ignorante quanto basta nel senso che non sapevamo dove ci avrebbe portato ma essendo un ingegnere aveva il regolo nel polso, quindi non era poi tanto in aria questa volta. Gianni trovò un artigiano non troppo lontano da Milano che si occupò di costruirne alcuni esemplari: di comune accordo si optò per tubature Easton in alluminio per ridurre il peso del telaio ed aumentare la rigidità al fine di aumentare la reattività nella guida, in fin dei conti Mirko aveva disegnato un mezzo a sua immagine e somiglianza. Così nacque per la gioia di tutti noi la PRO-MI prima 29″ destinata ad un uso vert riding, che aveva tutte le richieste fatte in fase di progettazione ben sviluppate. I collaudi furono frenetici e positivi, era molto impegnativa per la rigidità del telaio le ruote aiutavano lo smorzamento ma se non avevi un fisico allenato pagavi pegno, ma la ricordo come una bimba dal carattere forte e volitivo: mi piaceva guidarla mi ricordava i cavalli da Barrel rapidissimi a cambiare direzione ma poco confortevoli. Gianni ne fece produrre alcuni esemplari che si ruppero tutti a parte quello appeso in Via Gallarate 108, messo lì a ricordare che comunque ci aveva creduto anche se lo sviluppo fu abbandonato per mancanza di numeri e riscontri da parte del telaista, non perchè fosse sbagliato… Anni dopo avremmo visto che eravamo sulla strada giusta.
Il punto cruciale dello sviluppo era la cronica mancanza di forcelle con escursioni adeguate e steli non anoressici: il diametro massimo era 32mm e erano soggette a forti flessioni, a parte la Maverick che comunque a parte l’affascinante bellezza da venere nera era uno scherzo a livello di smorzamento. Gianni aveva provato anche la modifica di un Alice SC riducendo la corsa ma non interessava una corsa da 120mm cercava qualcosa di più, intorno a 150mm. Facendo ricerche, controllando le specifiche si accorse che la nuova FOX 36 con 150mm di corsa aveva un archetto di irrigidimento abbastanza alto per una ruota da 26″ e cosa non di second’ordine bello spesso. Lo so, vi sembrerà un idea balzana quello che vi sto per narrare: se si fossero tolti dall’archetto circa 20 mm la ruota da 29″ ci sarebbe passata sicuramente meglio di un cammello nella cruna dell’ago. Quindi Gianni decise di mettere una Fox 36 di quel colore marrone vomitevole sul tavolo del chirurgo Marnati in nome dell’evoluzione, qualche rischio bisognava pur prenderlo, magari la cavia sarebbe morta oppure avrebbe continuato a fare la bella vita felicemente ammirata da tutti con un bel telaio da 29″. Parcheggiò in doppia fila davanti all’officina in via Delfico, entrò trafilato salutando la mamma Marnati che aveva in testa un cappellino con visiera verde che indicava che l’estate era iniziata, impettita sempre a presidiare la sala operatoria di Daniele.
“Allora la possiamo limare?” Il chirurgo guardò di sottecchi Gianni che aveva la forcella nella mano destra ed una ruota da 29″ nell’altra. Finì di passare il filo del deragliatore con calma dentro la sua guaina, si raddrizzò fece un lungo respiro scuotendo la testa da sinistra a destra. “Lasa lì, vedarem se podùm fàa un quai còss…” Si rimise ad armeggiare sul cambio della bicicletta che stava appesa al reggisella sul cavalletto continuando a scuotere la testa ritmicamente dopo aver dato un’occhiata alle lime che spuntavano dal cassetto.
La radio si risvegliò quando Gianni girò la chiave di accensione del quadro della macchina trasmettendo una canzone dei Queen… “DON’T STOP ME NOW, I HAVE A GOOD TIME…”
Alzò il volume con la scusa che è un po’ sordo, non per altro.