Libro I – Cap. V
Il Racing Team ovvero la compagnia della Pro-M.
La passione, non solo quella sportiva, ci conduce ad aggregarci, crea gruppi di primati evoluti che si radunano in tribù sotto l’egida di un maschio che viene riconosciuto dal gruppo come il capo per capacità intellettuali o fisiche. Spesso le due condizioni sine qua non di pari passo non vanno “Se avessi il tuo fisico con il mio cervello conquisteremmo il mondo” (Gianni Biffi citazione ciclica dal 1998). Considerato che il Dr. Frankenstein era reale solo nel libro di Mary Shelley, nel gruppo è necessario trovare l’equilibrio tra i componenti come in un cocktail esotico nonostante fossimo più prossimi ad un bicchiere di Campari col bianco dosato a casaccio da un barista alticcio in un bar della alta Val Brembana. Pro-M aveva adottato una politica commerciale inusuale ai tempi: vendeva direttamente al pubblico mantenendo lo stesso prezzo applicato negli Stati Uniti. Aveva preso la decisione di farlo escludendo i negozi, attivandosi sulla rete che stava evolvendo in modo esponenziale in tutti i campi commerciali. I primi anni Duemila segneranno la svolta e Gianni aveva intuito questa potenzialità, costruendo un sito web dove precorse l’e-commerce attuale: non pochi di Voi ricorderanno il primo configuratore di MTB che aveva anticipato persino le case automobilistiche in quei giorni! Ma il fatto che non avesse una vetrina, portava tutti gli appassionati attratti dalle sue pagine pubblicitarie ad andare in pellegrinaggio in Via Lucillo Gaio per una visita nel santuario dei sogni. Il fatto di soddisfare i propri desideri li portava a passare da un semplice Cliente da pret à porter ad essere il Cliente di una sartoria artigianale, servito e riverito dove si creava un empatia sottile complice la scelta del componente oppure il colore del telaio, dove tutto ti veniva cucito addosso: la tua bicicletta era riconoscibile come le cifre sulla camicia. Io non avevo cambiato ancora il tessuto, ma presto avrei iniziato a farmi fare i miei giocattoli su misura. Non era solo commercio quello che accadeva: quando il Biffi apriva la porta del tempio si entrava in una sorta di trance emotiva dove il tempo riprendeva il suo valore disquisendo di tutto e di nulla, di dettagli spesso agli occhi attuali poco rilevanti ma che erano importanti come la cucitura all’inglese su una giacca di Caraceni.
Poco importava chi fossi nella vita quotidiana se ricco o meno abbiente, monaco Hare Krishna o studente universitario oppure che avessi le orecchie a punta che rivelavano la chiara origine Vulcaniana, ma quello che era lapalissiano esondava dai fiumi di parole: volevamo condividere ogni singolo istante passato in sella alle nostre amate “bambine” (The Vice cit.) e li in quel magazzino si rivelava, come la liquefazione del sangue di San Gennaro nell’ampolla nelle mani del Cardinale. “When the Lord gets ready, you gotta move” (Mississipi Fred Mc Dowell cit.). Perché la guida in fuoristrada è come un blues suonato con il bottleneck: determiniamo passaggi glissati tra un sasso ed una radice e lo tiriamo più lungo possibile, modificando l’azione per alzare i toni…. Potrebbe non finire mai, oh yeah.
Il nucleo storico, lo zoccolo duro dei possessori di Mountain Cycle non erano degli atleti divorati dalla furia agonistica, erano la dimostrazione della summa epicurea: soffrire a quale scopo? Meglio prenderci del corroborante divertimento unito a tutto il tempo necessario per digerirlo. Gianni trovò semplice unire i Clienti che si erano raccolti intorno alla Pro-M coinvolgendoli in gite domenicali. Il tempo dei bike park era la da venire, l’artificiale non era ancora entrato nel lessico dei Bikers: anche le competizioni di discesa si svolgevano su tracciati naturali con piccoli aggiustamenti per la sicurezza dei partecipanti. Mi ricordo ancora un Gran Prix del Mottarone, che ricalcava il sentiero L1 che conduceva a Stresa: una coppia di fratelli Bergamaschi, Loris e Gianluca Bonanomi, sbaragliarono la concorrenza agguerrita mandando su tutte le furie il terzo arrivato Luca Benedetti che sbottò gettando la sua Pro Flex dotata di forcella Spring a corsa lunga a terra, dicendo “ti pare che due pistolini mi debbano stare davanti?” Immagino che tutti sappiate come sia proseguita la carriera di Gianluca, ma di questo ne scriverò più avanti nei nostri annali. Le gite si affidavano ai sentieri od ai tratturi che conducevano ai rifugi, disseminati come i canditi nel panettone, sulle montagne. Oppure avendo un retaggio da regolarista, si ripercorrevano in Brianza i tracciati delle speciali a San Genesio o a Consonno, il paese fantasma. Quindi era un andare in montagna simile allo scialpinismo invernale, più che salire e scendere sulle piste lavorate delle località alla moda, non avevamo ancora “inventato” il freeride.
Gita dopo gita il plotone si ingrossava sempre di più, in giro le “bambine di Pro-M” erano sempre più protagoniste, i biker sempre più protetti da gomitiere, parastinchi e caschi integrali con legato sulla schiena il Camelbak una sacca idrica integrata nello zaino pensata per le truppe Americane della prima guerra del golfo, ma poi sdoganate per un uso meno marziale. Non si utilizzavano sistemi di navigazione se non le mappe e la fiducia riposta in coloro i quali si offrivano come guide. L’evoluzione del gioco ormai era entrata in una fase molto molto dinamica, non tanto qui in Italia dove vivevamo si le glorie dei risultati dei nostri atleti nel cross country e nella DH, ma impaludati nelle rigide direttive della Federazione che non comprendeva l’ampiezza del movimento, o per lo meno non era così lungimirante: si immaginavano solo le competizioni, non le manifestazioni di più ampio respiro. Ad ovest i nostri cordialmente odiati cugini Francesi avevano, grazie ad un numero superiore di praticanti e di conseguenza di atleti in ogni disciplina, iniziato a mettere le basi di quello che oggi chiamiamo erroneamente enduro, forse dovremmo dire più correttamente All Mountain: manifestazioni aperte a tutti come delle gite tra amici, utilizzando gli impianti di risalita spesso e volentieri. La Freeride Classic, rally come la Transvesubienne, che fu pioniera del divertimento con chilometri e chilometri di singletrack entusiasmanti, paesaggi inaspettati e navigazione da Paris Dakar. La prima edizione risale al 1990 grazie ad un intuizione di George Edwards che cinque anni dopo sulla scia del successo ottenuto diede vita alla più incredibile, devastante ed adrenalinica maratona di discesa, la Megavalanche dell’Alp d’Huez.
Le notizie non correvamo come oggi così veloci, il principale veicolo erano le riviste e per avere un idea di cosa succedeva in giro per il continente ti toccava vendere un rene per poi recarti con il ricavato all’edicola in largo Treves dove trovavi tutto quello che desideravi leggere con la stessa arroganza di un tossico in astinenza… You gotta move. Era giunto il momento, la curiosità di andare a provare questa esperienza tripillava nei pensieri di Gianni. Fece ricerche, visionò il tracciato, sfogliò avidamente il regolamento e prese una decisione. Per accedere al numero chiuso dei 400 partecipanti della maratona DH all’Alp d’Huez era indispensabile oltre un bel certificato di sana e robusta attitudine sportiva, una società di affiliazione, perché il tutto si svolgeva sotto l’occhio socchiuso della Federazione Francese che pur non essendo strabica come quella Italiana, una parvenza di ufficialità la doveva garantire, vista la presenza di cronometristi e giudici. Una gara come questa lunga più di 25 km e con oltre 2,600 m di dislivello negativo non del tutto in discesa, anzi con lunghi tratti da “cross country addicted” da farti sputare i polmoni.
Un tiepido tardissimo pomeriggio di Maggio, Daniele T. e Gianfranco S. , che trovo lo spazio tra i suoi pressanti impegni mondani di presenziare, furono convocati in Lucillo Gaio dal Biffi che come sua abitudine aveva preparato tutta la documentazione in modo scrupoloso per dar vita ad un associazione sportiva. “Vi ho chiesto di venire oggi da me, perché è mia intenzione fondare un’associazione sportiva legata alla Pro-M. Non perché io abbia ambizioni da podio, queste le lasciamo a chi lo fa di lavoro, ma ho voglia di iscrivermi alla Megavalanche dell’Alp d’Huez che si svolgerà questo Luglio. Ho chiesto a Robert Reisinger di poter utilizzare il Logo di Mountain Cycle per abbinarlo al nostro nome… Il logo in linea di massima saranno i picchi delle scosse di terremoto con al centro la scritta Pro-M con sotto la semplice dicitura Racing Team, gentilissimo mi ha detto subito di sì. Quindi ci vogliono le figure istituzionali di riferimento: Presidente ,Vicepresidente e segretario: se siete d’accordo penso che tu, Daniele sia il segretario perfetto e per la carica di Vice tu Gianfranco vada benissimo visto il poco tempo che hai a disposizione, saresti come Al Gore per Bill Clinton, conteresti poco, ma sarai sempre al mio fianco.” Daniele scosse il capo in cenno di assenso, la sua posizione era perfetta per lui, Gianfranco sfoderò uno dei sui migliori sorrisi a suggello della nomina. “Biffi che @igata! Non vedo l’ora di mettere gli adesivi Pro-M Racing Team sulla bici! Il marchio sulle bici serve, arricchisce il prodotto”. “Guarda anche se hai gli adesivi sul telaio rimani un paracarro, non che da un mulo tiri fuori Ribot”. Daniele lo sfotté ferendo il suo lato competitivo, tanto che un vaffà volò sonoro nel capannone. Così Gianfranco divenne per tutti gli accoliti appassionati del Racing Team “The Vice” e questo nickname lo segue ancor oggi anche se di lui abbiamo perso le tracce da qualche anno, ma rimane sempre nei nostri cuori.
Il Giovedì che precedeva un fine settimana di fine Luglio, Gianni caricò nel furgone che non profumava di gasolio la San Andreas nera di Marco P. , la Shockwave rossa di Bruno “Che Bici!” (il cuoco del ristorante Hare Krishna di via Torino ndr.) che sfoggiava una Risse da 200 mm doppia piastra e la sua candida e immacolata San Andreas che il buon Marnati aveva finito poche ore prima cercando di alleggerirla il più possibile perché Gianni conoscendo le sue capacità fisiche e studiato il tracciato si rese conto che la tattica giusta era una bicicletta che avesse sì delle escursioni adeguate ma era importante che fosse pedalabile, poco pesante e tanto, tanto scorrevole. Questo fu il primo di tanti viaggi, fine settimana e settimane in giro per l’Europa, e non solo, che il Racing Team fece. Si alternarono decine e decine di Bikers donne e uomini nelle Domeniche degli anni successivi, alcuni si persero strada facendo, abbandonarono le attività, si dedicarono chi alla pesca, chi alla moto e qualcun altro fu fagocitato dal lavoro o dalla famiglia. Si instaurarono solide amicizie, che vanno oltre la passione per la bicicletta. Magari non ci frequentiamo molto ma quando ci si vede per un uscita da “Fanigutuni” (espressione vernacolare sempre lombarda che nasce da “fàa nigòtt”, non fare nulla, cosa in cui riusciamo sempre bene il podio è nostro), il fatto di condividere anni di amicizia, sembra esserci salutati pochi giorni prima solamente con qualche ruga e capello grigio in più e una nuova bambina da accudire.
L’amicizia è un’anima che abita in due corpi. La natura non fa nulla di inutile (Aristotele 384 a.C. 322 a.C.).