Libro I – Cap. IV
¡ hoy madre !
Andovvai se un claim ‘uncellai?
Milano a fine secolo respirava ancora gli anni della Milano da bere, quella della pubblicità dell’amaro Ramazotti tanto per intenderci. Viveva di quell’aurea che i locali dove i piatti in bella mostra ti schiaffavano sotto gli occhi tartine, patatine e reduci degli anni d’oro di Tangentopoli che con le loro Harley d’ordinanza scodellavano le ultime modelline Americane rimaste, prima dell’invasione Russa che avrebbe stroncato il mito delle super muse degli stilisti, strapagate per fare il muso imbronciato sulle passerelle della settimana della moda. In quel girone dantesco ricamato con effimera bellezza, si muoveva con un gran dinamismo da parecchi anni un amico di lunga data di Gianni: Gianfranco S. aka “The Vice” (di questo e di altri nickname avremo modo di spiegare nel corso degli eventi). Nonostante fossero quasi agli opposti per stile di vita ed abitudini lavorative coltivavano un amicizia solida che con l’apertura di Pro-M si cementò ulteriormente, visto che queste biciclette Americane avevano un fascino esclusivo, come il mito di quei catorci da 300 chili tutti cromati e scintillanti che il più grande comunicatore delle due ruote aveva creato in via Niccolini, erano degne protagoniste di un set fotografico.
Gianni era abituato da sempre ad alzarsi presto per andare in azienda, incarnava la dinamicità dell’ imprenditore Milanese tutto casa, lavoro e passioni: non era un ciclista, non veniva dalla strada. Lui aveva la passione per le due ruote, soprattutto per quelle fuoristrada che coltivava da quando suo padre gli regalò un Guazzoni 50 Mattacross che il Sciur Aldo un visionario, tale e quale i padri della mountain bike, costruiva una ad una le sue creature soddisfacendo i desideri dei Clienti in un atelier di raffinatissima artigianalità in Porta Romana: credo che questo si sia nascosto nel subconscio di Gianni fintanto che non ebbe il suo primo telaio San Andreas di Mountain Cycle.
Robert Reisinger, un ingegnere meccanico Californiano dopo alcune esperienze come pilota di elicotteri ed un quinquennio come pilota e tester Kawasaki motocross aprì con 5,000 dollari la sua compagnia a San Luis Obispo in California nel 1988, per produrre telai da MTB. Aveva anche una forte passione per l’aeronautica: costruì il primo elicottero a propulsione umana che fu in grado di volare, insomma ci troviamo di fronte all’ennesimo genio che quel periodo ci donò. Credo che ogni studente o professionista che voglia disegnare un telaio, dovrebbe avere di fronte alla scrivania una fotografia di una San Andreas, pena la messa in mora di Inventor. La penna di Robert rivoluzionò i telai fino a quel momento nati da telai di derivazione stradale (“girela come tèe vòret ma in semper vòtt tubi”, Daniele Marnati manuale spirituale del telaista cit.) donandoci un design elegantemente semplice che applicò ad un monoscocca di ispirazione motociclistica o come del resto la sospensione posteriore. Talmente innovativo, uno stato dell’arte che la San Andreas non a caso è l’unica bicicletta che è stata esposta in un museo di arte moderna: il MoMa di San Francisco (not bao-bao, micio-micio… Gianni Biffi cit. primi anni duemila). Commercializzata nel 1991 fu la prima prima biammortizzata venduta di serie con freni a disco.
Mi ricordo ancora la prima di copertina della Bibbia che titolava entusiastica: “Have It Our Way… A bike so radical that it pushes the design limitations of not only bike frames but also suspension and brakes to new extremes”. Era Dicembre 1992, io avevo pompato fino a Maggio su una Gary Fisher RS-1 che mi sembrava un convivio di tecnologia, avevo montato una coppia di freni Grafton, prolunghe Control Tech in Titanio e una poderosa RockShox Mag 21 da 50 millimetri, gomme Tioga Farmer John da 1.8 e sul cockpit i comandi rotanti Gripshift di Sram… Cancellata dalla scossa di terremoto della San Andreas come fosse una costruzione abusiva sullo stretto di Sicilia. Non a caso credo il buon Reisinger aveva scelto il nome: San Andreas è la faglia Californiana luogo di devastanti terremoti, che si ripetono con intervalli regolari di circa 22 anni. E che scossa fu nel magmatico mondo della mountain bike: in seguito tutti i suoi prodotti furono caratterizzati da nomi legati alla sismologia ed ai suoi padri.
Quindi Pro-M aveva uno dei telai più desiderati, la San Andreas era pronta una volta che passata dalle mani di Daniele Marnati che gli faceva trucco e parrucco sotto le disposizioni a volte al limite dell’esoterico art director: non a caso l’accuratezza e la scelta dei componenti, fatta in modo che incarnassero i desideri del Cliente furono motivo di notizia sulle riviste del settore, sempre alla ricerca di novità: il Sciur Aldo Guazzoni su in cielo una lacrimuccia la lasciò scorrere.
Gianni era ed è un personaggio a suo modo particolare, mi ricorda Carlo Talamo deus ex machina di Numero Uno con il quale ebbe un lungo screzio, di quelli che suscitano amore o odio ma che non lasciano indifferenti come tutte le biciclette che ha assemblato.
“Biffi, Biffi, ascoltami bene: qui bisogna fare un poco di casino. Le pagine pubblicitarie delle riviste MTB fanno lo stesso effetto della dolce Euchessina ad un bambino di cinque anni. Sono di una tristezza, ma di una tristezza che mi verrebbe voglia di smettere di andare in bici”. Gianfranco come suo solito si era materializzato verso l’ora di pranzo, visto che in quel periodo non aveva importanti ed esclusivi parties all’Hollywood o aperitivi all’Hotel Diana. Giacca azzurro slavato, camicia bianca immacolata aperta sul petto che quando voleva essere assertivo gonfiava come un gorilla di montagna per sembrare più massiccio di quanto non fosse in realtà. Aveva una gran cura del corpo la palestra faceva il suo porco mestiere, braccialetti al polso e capelli non troppi ed ingellati quanto basta, occhiali con una montatura fine in tartaruga abbronzatura regolamentare con un sorriso sempre pronto. Telefoni due che sfoderava come un pistolero del selvaggio west, spesso squillavano e rispondendo all’unisono, fatto che gli impediva di completare un qualsiasi discorso che aveva iniziato… A Bologna avrebbero detto sborone, ma come non voler bene a The Vice. Gli amici un poco maligni, lo chiamavano il rappresentante della fig@a per il lavoro che svolgeva all’interno della più importante agenzia di modelle di Milano, ma era tutta invidia credetemi: vi vorrei vedere voi se non lo sareste, se un vostro amico che conoscete dall’adolescenza vi viene a trovare con Martina C. così facendo un nome a caso… Questo aspetto faceva un attimo, quel giusto innervosire il Biffi, che essendo anche e comunque impegnato in altre faccende lo stava per mettere alla porta con molto affetto. “Dai Gianni, andiamo a trovare Giovanni C. in studio ci devo passare per lavoro nel pomeriggio, ho una modellina Ceca che, credimi ne sono convinto, ha le potenzialità per diventare una top.” Gianni lo guardò sconsolato: “di bici capisci poco e un razzo, ma di fi@a non hai rivali” . Una fragorosa risata echeggiò nel magazzino “tu vendi bici ed io invece mi spiace per te, fi@a… ad ognuno il suo… Dai ci vediamo più tardi”.
Gianni controllò l’ora, si passo una mano nei capelli, prese la chiave dell’auto dalla tasca anteriore dei pantaloni avvicinandosi alla Subaru parcheggiata all’ingresso. “Oggi no, ho da fare, vedi se domani verso l’ora di pranzo Giovanni ha tempo, fammi sapere dai”. Gianfranco uscì sulla strada infilò un telefono tra testa e casco, accese il suo motorino e gridando in risposta ad una delle tante chiamate si allontanò alzando il pollice della mano sinistra, come se volesse impartire ordini ad un set fotografico inesistente.
Lo studio di Giovanni C. era in zona Navigli, in una corte di una casa di ringhiera, una di quelle che costeggiano l’ alzaia del Naviglio una volta popolate dagli operai ed artigiani Milanesi e dai “Napoli” che all’inizio del novecento avevano iniziato a salire su in folate interrotte solo dalle due guerre a trovare un lavoro ed un alloggio a basso costo. La Milano degli anni ottanta, quella dell’edonismo e dei locali si sostituì ai vecchi abitanti, trasformando la zona in una sorta di circo Barnum dell’apparire, quella che i giornali modaioli battezzeranno “la movida Milanese”. Tra un ristorante ed un pub che la maggior parte durante il giorno stavamo con le serrande a mezz’asta, si trovavano studi di artisti, creativi e fotografi. Milan l’è semper un gran Milan, a modo suo dava spazio a tutti. Giovanni C. non era sconosciuto a Gianni, si conoscevano da tempo legati dalla passione delle due ruote, aveva anni prima intrapreso la rinascita del marchio Harley con un un trio di amici ma la fotografia era la sua missione: i suoi ritratti sono pietre miliari pubblicate su riviste di tutto il mondo, dove riuscivi a leggere i protagonisti fin dentro il loro più recondito pensiero. Il suo libro fotografico Cilindri Bulloni & Facce raccoglie 50 ritratti di motociclette ed i loro proprietari, un excursus sociologico di passione ed introspezione.
Nella corte, c’era la sede dell’associazione Achiappocane e di fronte l’officina di un fabbro che faceva i lavori per loro: entrando l’odore del ferro era lo Chanel n.5 del palazzo ed i colpi di mazza scandivano a tempi irregolari la giornata. Dato che il nostro buon The Vice era in ritardo, come sempre adduceva impegni che lo tenevano al telefono per ore ed ore e l’ora di pranzo si avvicinava, Il Biffi si era presentato come suo solito in perfetto orario nello studio fotografico, dove aveva trovato seduto alla scrivania della segretaria di Giovanni C. un’altra sua conoscenza, un altro Gianni che pure aveva l’iniziale del suo cognome uguale alla sua. Una vità professionale cresciuta nelle agenzie pubblicitarie, come Art Director aveva inventato e diretto molte campagne che in quegli anni spopolavano su riviste e nelle televisioni. L’uomo si nascondeva dietro una barbetta incolta ed ad un paio di occhiali grandi come i fari di San Siro, dotato di rara arguzia e appassionatissimo pure lui di motociclette. “Ragazzi, scusatemi, la riunione in ufficio si è prolungata, sapete che quando siamo a programmare con Riccardo non si riesce mai a concludere… Allora che si fa andiamo a mangiare un boccone? Dai che abbiamo poco tempo qui bisogna ottimizzare…” Gianfranco aveva lasciato aperto la porta dietro di sé. Giovanni era riemerso dal set fotografico, quindi il gruppo si mosse alla trattoria che stava sul marciapiede di fronte alla corte. I tavolacci di legno scuro in stile vecchio trani disegnavano una scacchiera sul pavimento di graniglia all’interno del locale, le posate ed i bicchieri accompagnati da un calice d’acqua stavano allineati su tovagliette ritagliate con la carta da macellaio, quella carta color senape che è stata cancellata per le nuove norme igieniche vigenti. “Ti ci vuole un claim, Gianni… Andovvai se un claim ‘uncellai? Il prodotto ci sta, il fotografo pure, lui a ritrarre impazzisce, anche se sono soggetti inanimati… Guarda cosa ha fatto per le moto di Carlo Talamo… Magari un domani ci mettiamo anche un poco di fi@a che in un mondo di machi non guasta, tanto abbiamo lo spacciatore, ma dobbiamo trovarlo questo claim…” Così disse il creativo, con tutti i presenti che attendevano la sua mossa successiva. “Gianfranco, dammi ‘na penna và, che qui bisogna trovare qualcosa… Biffi di dove accidenti è il Marchio? Californiano? Bene, bene… Ma dove sta? A sud? uhmmm Monterey, San José…? “ “San Luis Obispo” rispose il Biffi prontamente. In un rigoroso silenzio Gianni si tolse i pesanti occhiali ed iniziò a scarabocchiare mezze frasi sulla tovaglietta macchiata da piccole macchie vermiglie di vino. “Qui sono tutti Chicanos, degli Americani hanno poco, la tradizione è puramente Messicana e sì… Te lo vedi il peone che torna a casa dai campi e si vede davanti l’uscio passare una San Andreas? Ma che può pensare? Un ufo!
¡ HOY MADRE ! che comunque è un esclamazione tipica di San Luis Obispo, da quando i Messicani costruirono la prima chiesa…